Cerimonie di commemorazione, in Belgio e in Italia, per i 63 anni dalla strage della miniera belga di Marcinelle dell’8 agosto 1956, dove morirono 262 persone, più della metà italiani e in prevalenza abruzzesi. “A Marcinelle, località sino ad allora praticamente sconosciuta, un incendio, sviluppatosi inizialmente nel condotto d`entrata d`aria principale, riempì di fumo tutto l`impianto sotterraneo, provocando la morte di 262 persone delle 275 presenti, di cui 136 immigrati italiani. Un ragazzo di 14 anni la vittima più giovane, un uomo di 74 quella più anziana; 12 regioni italiane coinvolte, 406 orfani. L`incidente di Marcinelle è il terzo per numero di vittime tra gli immigrati italiani all`estero, dopo i disastri di Monongah e di Dawson”.
E’ l’intervento sul sito della Conferenza generale italiani all’estero (Cgie) di Giuseppe Sommario (nella foto a destra), docente dell’Università Cattolica di Milano e ricercatore, che ha dedicato gli ultimi anni a un attento lavoro di ricerca sulle comunità calabrese d`Argentina e del Canada. “Nel corso degli anni, però – prosgue – è Marcinelle ad assurgere a simbolo delle tante tragedie che hanno colpito gli emigranti italiani sul lavoro, tanto che, nel 2012, la miniera di Marcinelle, oramai dismessa, è stata inserita fra i siti del patrimonio Unesco. Tanto che, dal 1 dicembre 2001, l`8 agosto è designata ‘Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo’ per informarne e valorizzarne il contributo sociale, culturale ed economico dei lavoratori italiani all`estero. Com`è noto, nel secondo dopoguerra, milioni di italiani lasciarono la Penisola per cercare altrove condizioni di vita migliore. Fra le tante nazioni, il Belgio fu una delle mete più richieste dagli emigranti italiani. Ciò anche perché, nel giugno del 1946, l`Italia aveva stipulato con il governo belga uno scellerato patto che portava a barattare manodopera italiana con carbone belga: ogni mille operai che l`Italia riusciva a mandare in Belgio otteneva dalle 2500 alle cinquemila tonnellate di carbone. Pertanto, nel giro di 10 anni (1946-1956) giunsero nella sola Marcinelle 140mila lavoratori italiani, con 18mila donne e quasi 30mila bambini. Sembra, una storia legata al passato, a ‘Lu trenu di lu suli’ (Il treno del sole) di Ignazio Buttitta, invece, ancora oggi, l`Italia è più che mai al centro dei flussi migratori, sia in entrata che in uscita.
“E la Cgie è particolarmente attenta agli effetti prodotti dalle nuove migrazioni in ambito sociale, a come facilitare l`inserimento dei nuovi migranti italiani nei contesti d`arrivo, a come fare in modo che arrivi in Italia non vada incontro a disgrazie e sfruttamenti che hanno ricevuto gli italiani all`estero e che hanno prodotto tragedie come quella di Marcinelle. Inoltre, la Cgie dedica una particolare attenzione ai nuovi migranti italiani, i quali, insieme agli emigranti di vecchia data, possono essere un valore aggiunto, capace di promuovere e sostenere il ‘Sistema Italia’ nel mondo e trasformare così i flussi migratori da emergenza in risorsa nazionale, valore aggiunto. Di questo la Cgie è fermamente convinta. Ciò è possibile, però, solo vincendo la retorica, affrontando il fenomeno con analisi approfondite e politiche adeguate, assumendo la questione come dato nazionale, da inserire a pieno titolo nell`agenda del Sistema Paese e non come questione ancillare da liquidare frettolosamente. In questo senso, ripensare a Marcinelle può essere di monito e di aiuto. Del resto, commemorare i 136 morti di Marcinelle e tutti gli altri emigranti italiani morti sul lavoro ha un senso solo se sono da insegnamento e portano a politiche che migliorano le condizioni di vita e di lavoro dei migranti che vanno e che arrivano da e in Italia. Solo così il contributo sociale, culturale ed economico di tutti i lavoratori migranti potrà essere un valore. In caso contrario, commemorare Marcinelle diventa solo sterile, vuota retorica”.
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